Dietro ai vetri limpidi delle cosiddette “finestre sul mondo” vediamo luoghi distanti nello spazio a portata di mano, abbiamo la possibilità di esplorarli attraverso molteplici punti di vista, di stabilire un contatto grazie a canali di comunicazione sempre più raffinati. È la splendida magia del progresso dei mezzi informatici, il desiderio di onnipresenza e di onniscienza che si è concretizzato. Ci piace usufruire di queste possibilità e, a dire il vero, non ha senso farne a meno.
Tuttavia in questo lavoro ci siamo soffermati sul rovescio della medaglia, non con lo scopo di ammonire o di agire da deterrente nei confronti della tecnologia (sarebbe sciocco e anacronistico) ma come invito a non disprezzare i nostri limiti umani.
La diversa percezione delle distanze che abbiamo maturato grazie all’informatica non ci consente di godere di un’effettiva ubiquità; la massiccia mole di dati che ci giungono su un unico oggetto aumenta paradossalmente l’incompletezza delle informazioni; i mezzi mediatici sono accessibili a tutti e ciò può indurre al sospetto di manipolazione dei messaggi; la direzione spesso univoca dell’informazione (in entrata o in uscita) a lungo andare può risultare frustrante, può rivelare il suo carattere illusorio, può farci sentire soli, trasparenti, spaesati.
Due realtà, dunque, due dimensioni, due mondi, due luoghi distinti, posti uno accanto all’altro, uno dentro l’altro. Sono come due gabbie dalle pareti invisibili ma più spesse ed infrangibili di quelle di una fortezza: le pareti del tempo e della coscienza. E, rinchiuse in esse, due persone: un uomo solo e intraprendente ed una donna irraggiungibile. Questi ed il corposo apparato di “finestre sul mondo” sono gli elementi della nostra breve storia, liberamente ispirata al racconto “L’invenzione di Morel” di Adolfo Bioy Casares.
La tecnologia con cui è strutturato mØr3L è basata sull’intreccio di segnali video filtrati da software di motion analyzing ed effetti in tempo reale. le due video camere riprendono i due danzatori inviando le immagini ai rispettivi computer i quali aggiungono gli effetti oppure analizzano il movimento. i due segnali live vengono inoltre mixati con una sorgente preregistrata che scandisce parzialmente il tempo.
Lo spettacolo è diviso in due fasi composte da tre sottoinsiemi divisi per i due protagonisti. La prima fase per il danzatore è di analisi del movimento mixata ad immagini preregistrate, la parte della danzatrice si suddivide in preregistrato e segnale live effettato.
da Il Piccolo di Trieste, 02/12/2004
DANZA: In scena al Miela “Morel” con la compagnia Arearea, che unisce due linguaggi artistici.
BALLETTO E VIDEO SI DIVIDONO GLI SPETTATORI
TRIESTE. Ci si può innamorare di un’immagine registrata? è ciò che accade al protagonista dello straordinario racconto di Bioy Casares “L’invenzione di Morel”, approdato su un’isola dove una macchina misteriosa proietta per l’eternità i gesti e le parole di una donna, Faustine, e dei suoi amici. La compagnia di danza Arearea, in collaborazione con S/Paesati, si è ispirata alla perturbata storia di uno scrittore argentino per ricreare martedì sera, al Teatro Miela, quell’isola cosparsa di fantasmi. “Morel” è una performance interattiva che unisce il linguaggio della contemporanea alle tecniche di videoproiezione. Lo spettacolo, ideato da Francesca Debelli e Antonio Giacomin, si avvale dei video dello stesso Giacomin, della musica dei Pop Toxique e delle coreografie di Francesca Debelli e Fabrizio Zamero.
“Lo scopo di questo lavoro – scrivono gli Arearea nel volantino – è stato quello di soffermarci sul rovescio della medaglia dei mezzi informatici, non per agire da deterrente nei loro confronti, ma come invito a non disprezzare i nostri limiti umani”. In effetti lo spettatore di “Morel” rimane alla fine ancora più spaesato del protagonista del racconto. La macchina spettacolare messa in moto dalla compagnia è complessa e sfrutta entrambi gli spazi del Teatro Miela: la sala grande e la sala video. Nella prima sala danza Zamero, mentre sullo schermo viene proiettata la performance che nel frattempo sta danzando la sua partner in sala video. Un sistema di videocamere moltiplica sulle pareti della sala video, in un gioco di abissalità speculare, l’immagine di Francesca Debelli che va a interagire, in alcuni momenti, con la coreografia in sala grande di Zamero. I due comunicano attraverso un codice fatto di gesti ripetuti e di incessanti reiterazioni, ma la comunicazione è solo un’illusione, così come è un’illusione la possibilità di ubiquità che i nuovi media promettono. E il pubblico, costretto a dividersi nelle due sale, lo sa bene. Per fortuna sa anche che ci sono ancora corpi che danzano in carne e ossa. Ma dopo gli applausi sorge un dubbio: in fondo non siamo già sull’isola di Morel?
Stefano Crisafulli.
da il Primorski Dnevnik di Trieste del 02/12/2004
TRST
Razdvojenost med realnim in virtualnim svetom v besedi in plesnem izrazu
Razdvojenost med realnim in virtualnim svetom je bila tudi tema plesne in video-interaktivne performance v režiji ansambla Arearea. Moški (Fabrizio Zamero) in ženska (Francesca Debelli) komunicirata s koreografskimi gibi v dveh različnih prostorih, najprej posebej, potem z vzpostavljanjem stikov potom ekrana. Odtujen dialog s posredovanjem tehnološkega sredstva ni namišljen, ampak niti popolnoma možen, saj se uresniči le na video-posnetku. Igra različnih nivojev povezave med virtualnim in realnim prizoriščem se ni osredotočala samo na neuravnovešen odnos on-ona, a tudi na primerjavo med vzporednim virtualnim in realnim gibom v isti koreografiji. Publika se je med predstavo premikala iz velike v malo dvorano in skozi foyer gledališča, kjer je tretji ekran predvajal dogajanje, v iskanju različnih zornih kotov in nivojev razvoja in dojemanja situacije. Verjetno koreografija ni iskala odgovora na vprašanje, ki ga je postavljala, tudi v tem primeru pa bi lahko razbrali opozorilo na nemogoče spajanje ločenih svetov tehnoloških sredstev in resničnih stikov in custev.
ROP
traduzione in italiano
Divisione tra il mondo reale ed il mondo virtuale nella parola e nella danza
La divisione tra il reale ed il virtuale è stata il tema della performance video-interattiva della compagnia Arearea. L’uomo (Fabrizio Zamero) e la donna (Francesca Debelli) comunicano con dei movimenti coreografici in due luoghi distinti, all’inizio singolarmente, di seguito stabilendo un contatto attraverso lo schermo. Il dialogo alienante mediato dalla tecnologia non è immaginato, e nemmeno interamente possibile, difatti si manifesta solamente nel video (duetto finale ndt).
Il gioco tra diversi livelli di collegamento tra la scena virtuale e quella reale non si basava solamente sul rapporto squilibrato lui-lei, ma anche nella comparazione tra il movimento in parallelo tra virtuale e reale della stessa coreografia. Il pubblico si spostava tra la sala grande e la sala piccola e nel foyer del teatro, dove un terzo schermo mostrava ciò che succedeva nella ricerca di molteplici punti di vista e livelli di sviluppo e comprensione della situazione. Probablilmente la coreografia non cercava risposta alla domanda che poneva ed in questo potremmo decifrare l’avvertimento dell’impossibilità di unione tra il mondo tecnologico con il contatto e i sentimenti reali.
ROP