agliamo
al quarto Grado appartenente all'huomo interiore, ilqual fu l'ultima,
et la piu nobil creatura fatta da Dio a sua imagine et similitudine.
Et qui è da notare, che nel testo Hebreo quello, ch'è
tradotto per imagine, è detto Celem, et quello, ch'è detto
similitudine, è scritto Demut. Lequali parole nel Zoar di Rabi
Simeon, che suona illuminator (cioè dator di luce) sono interpretate
in questo senso, che Celem significhi (per dir cosi) la stampa o ver
la forma angelica, et Demut importi grado divino. percioche vuole che
Dio non solamente tirasse l'anima nostra alla eccellenza de gli Angeli,
ma ancor le aggiungesse il grado divino. et aggiunse il detto autor
del Zoar, che questo antivedendo l'Angelo, che fu poi scacciato, mosso
da invidia, et dall'amor proprio, parlò contra il voler della
divina Maestà. Ma Mercurio Trismegisto nel suo Pimandro prende
la imagine et la similitudine per una cosa istessa, et il tutto per
lo grado divino, dicendo cosi. At parer omnium intellectus, vita, et
fulgor existens, hominem sibi similem procreavit, atque ei tanquam filo
suo congratulatus est; pulcher enim erat, patrisque; sui ferebat imaginem.
Deus enim re vera propria forma nimius delectatus, opera eius omnia
usui concessit humano. Et il medesimo nello Asclepio. 0 Asclepi, magnum
miraculum est homo, animal adorandum atque honorandum: hoc enim in naturam
Dei transit, quasi ipse sit Deus, hoc demonum genus novit, upotè
qui cum eisdem ortum esse cognoscat, hoc humanae naturae partem in se
ipso despicit, alterius partis divinitatis confisus. Altri Scrittori
Cabalisti hanno lasciato scritto la similitudine appartenersi alla operatione;
quasi volendo dir Dio haver fatto l'huomo a fine di operar per lui.
Et con questa openione consente la scrittura santa; dove fa
mention, le opere buone che facciamo, non esser nostre, ma di Dio, et
noi esser solamente gli istrumenti. La onde alcuni contemplativi chiamano
queste opere, opere eterne. Di che Paolo dice. Quid habes homo, quod
non accepisti? Et si accepisti, quare gloriaris, quasi non acceperis?
Et è da notar, che le piu delle fiate quando la scrittura fa
mention dell'huomo; intende solamente dell'interiore, ilche chiaramente
si truova nel libro di Mosè intitolato Iob, che dice. Pelle et
carnibus vestisti me, ossibus et nervis compegisti me. per lequali parole,
et per quel pronome, me, da chiaramente ad intendere, altro esser l'huomo
interiore dall'esteriore. In questa openione viene Socrate nel suo primo
Alcibiade appresso Platone, disputando della natura dell'huomo: percioche
si come la vesta che portiamo, non è noi, ma cosa usata da noi;
cosi il corpo, ancor che sia portato da noi, non è noi, ma cosa
usata da noi. Per laqual cosa sono da esser considerate le parole di
Mosè nel Genesi. facciamus hominem ad imaginem et similitudinem
nostram: lequali non suonano senon l'interior huomo. Et che vero sia,
alquanto sotto soggiunse. Nondum erat homo, qui operaretur in terra.
Era adunque avanti nel sopraceleste fatto l'huomo interiore, che Dio
gli formasse il corpo di terra a fin che potesse operar in questo mondo,
et essere istrumento delle opere divine. Et per cio Mosè soggiunse.
Plasmavit Deus hominem de limo terrae, ilqual limo non significa fango
(come molti avisano) ma il fiore, et (per dir cosi) il capo di latte
della terra, che era Virginale, percioche non haveva ancor contratto
macchia, si come contrasse quasi famiglia di Adam dopo il peccato di
lui. La qual terra virginale era chiamata Adema, onde Adam trasse il
nome. Ne questo tacerò, che Christo, per sodisfare alla giustitia
divina si appresentò per purgator di tutte le humane colpe in
corpo consimile a quello, che haveva Adam prima che peccasse; cioè
in corpo fatto di terra Verginale et di sangue purissimo di Maria Vergine.
A queste cose si aggiunga, poi che a parlar di Adam siamo entrati, che
egli avanti il peccato era in due modi nell'horto delle delitie, non
dico Paradiso Terrestre, come molti interpretano quel, che Mosè
non disse giamai. Nel primo modo adunque era nell'horto sopraceleste
non presentialmente, ma nella gratia di Dio godendo di tutti i beati
influssi. ma come hebbe peccato, cosi fu cacciato del detto horto sopraceleste.
Et cioè, che levati li furono i gia detti influssi, non che esso
corporalmente fusse mandato fuori non altramente, che se un servidor
prima a Cesare gratissimo in Egitto si ritrovasse, mentre egli fosse
nella gratia del Prencipe suo, si direbbe, che fosse nella sua famiglia,
ma peccando privo della gratia sua si potrebbe dire, che fosse cacciato
dalla corte. Ne si maravigli alcuno, che io metta questa quistione in
campo, che l'horto del quale fu cacciato Adam, fosse il sopraceleste
giardino, percioche questa fu openione prima di Origene et poi di Hieronimo
suo seguitatore. L'altro modo di dire che Adam era in Paradiso, sarà
secondo il vocabolo non Hebreo, ma Greco. et dichiamo, che Adam avanti
il peccato era nella terra virginal di questo mondo. Et mentre dimorò
in quella senza maculare il corpo suo di peccato, era in Paradiso terrestro.
Et fatto il peccato, la terra contrasse macchia, et cosi venne ad esser
cacciato del Paradiso. Avvenne adunque al mondo fatto per Adam quel,
che potrebbe avvenire ad un Baron di Cesare, ilquale se peccasse, tutta
la sua famiglia verrebbe a contragger macchia, ancor che ella non havesse
peccato, et tutti la guarderebbono con occhio torto. Peccando adunque
Adam; peccarono tutti gli elementi per contrattion di macchia. Di che
egli in loro non essendo piu la prima virginità, si può
dire, che per questa cagione Adam sia detto essere stato cacciato dal
terrestre Paradiso.
Ma seguendo il proposito nostro è da sapere, che in noi sono
tre anime, lequali tutte tre, quantunque godano di questo nome comune
animo; nondimeno ciascuna ha ancor il suo nome particolare. Impercioche
la piu bassa, et vicina; et compagna del corpo nostro è chiamata
Nephes: et è questa altramente detta da Mosè anima vivens.
Et questa percioche in lei capeno tutte le nostre passioni, la habbiamo
noi comune con le bestie. Et di questa parla Christo, quando dice. Tristis
est anima mea usque ad mortem. Et altrove, qui non habuerit odio animam
suam, perdet eam. Alqual non aspirando la lingua ne Greca ne Latina,
non si puo rappresentare nelle traduttioni la sua significatione, come
(per cagione di
esempio) in quel Salmo. Lauda anima mea dominum: quantunque lo scrittor
dello Spirito Santo habbia posto il vocabolo di Nephes, ci fanno usare
il comune. Et fu ben ragione, che il Propheta usasse il vocabolo Nephes;
volendo lodar Dio con la lingua et con altri membri che formano la voce,
et sono governati dalla Nephes, che è piu vicina alla carne.
L'anima di mezo, che è la rationale, è chiamata col nome
dello spirito, cioè Ruach. La terza è detta Nessamah e
da Mosè spiraculo, da David et da Pithagora lume da Agostino
portion superiore, da Platone mente, da Aristotele intelletto agente.
Et si come la Nephes ha il Diavolo, che le ministra il dimonio per tentatore,
cosi la Nessamah ha Dio, che le ministra l'angelo. La poverella di mezo
da amendue le parti è stimolata. Et se per divina permissione
s'inchina a
far union con la Nephes, la Nephes si unisce con la carne, et la carne
col dimonio, et il tutto fa transito et trasmutatione in diavolo. per
laqual cosa disse Christo. Ego elegi vos duodecim, et unus ex vobis
diabolus est. Ma se per la gratia di Christo (da altrui non puo venire
un tanto beneficio) la anima di mezo
si distacca quasi per lo taglio del coltello della parola di Christo
dalla Nephes mal persuasa, et si unisce con la Nessamah: la Nessamah,
che è tutta divina, passa nella natura dell'angelo, et conseguentemente
si trasmuta in Dio. Per questo Christo adducendo quel testo di Malachia.
Ecce ego mitto angelum meum; vuol, che si intenda di Giovanni Battista
trasmutato in Angelo nella providenza divina ab initio et ante saecula.
Ho fatto mention del coltello del verbo di Christo, ilqual solo col
suo taglio divide l'anima bassa dall'anima rationale, laquale habbiamo
detto haver il nome dello spirito. La onde Paolo disse. Vivus est sermo
Dei, et efficax, et penetrantior omni gladio ancipiti pertingens usque
ad divisionem animae, et spiritus. Et a fin che riconosciamo le dette
tre anime ciascuna con nome diverso nelle parole di Mosè sopratocche
nel Genesi; è da notare, che quando disse, faciamus hominem,
intese dell'anima rationale. Et quando disse, posuit eum in animam viventem,
intese della Nephes, ma dicendo, flavit in nares eius spiraculum vitae,
significò la Nessamah. Non posso far ch'io non metta sopra questi
passaggi la openion dello scrittore del Zoar. La Nephes esser un certo
simulachro, o vero ombra nostra, laqual non si parte mai da sepolchri
et lasciasi non solamente la notte, ma ancor di giorno da quelli, a
quali Dio ha aperti gliocchi. Et percioche il detto scrittor dimorò
all'heremo per quaranta anni con sette compagni, et con un figliuolo
per cagion di illuminar la scrittura santa; e dice, che un giorno vide
ad uno de suoi santi, et cari compagni distaccata la Nephes talmente,
che gli faceva di dietro ombra al capo. Et che di qui s'avide, che questo
era il nuntio della vicina morte di colui. ma con molti digiuni, et
trationi ottenne da Dio che la detta staccata Nephes da capo al corpo
suo si ricongiunse; et cosi unita restò per fin al fine della
impresa. Ilqual luogo da me veduto mi fa pensare, che Virgilio toccando
la vicina morte di Marcello, si sia servito di quello. Et che o da Hebrei,
o da Caldei Cabalisti havesse inteso un tal secreto.
Appresso dice il detto scrittor del Zoar, che questa Nephes è
presente dal principio alla formation dell'Embrione. Ma che Ruach non
entra, senon il settimo giorno dopo la natività: et che per cio
Dio comanda, che il fanciullo sia appresentato a lui, et alla circoncisione
l'ottavo dì, cioè un giorno dapoi, che l'anima rationale
ha fatta l'entrata. Et quantunque la Nessamah non entri, senon al trigesimo
giorno, non si havere ad aspettar tanto à far la circoncisione;
allaqual non debbono intervenir, senon l'anima, che puo peccare, et
quella, che fa peccar: che la Nessamah essendo divina non puo peccare.
Et in questo passaggio cosi consente Plotino intendendo della terza
anima alta, quando dice. In anima non cadit peccatum, neque poena. Ha
ben voluto il bello ingegno di Aristotele prender fatica intorno ad
una altra triplicità, che è nell'huomo interiore, ma in
quella non pone, senon questa terza alta. impercioche disputando dottissimamente
de tre intelletti nostri, chiama l'uno possibile, over passibile chiamato
da nostri Latini, et da volgari ingegno, altramente da Cicerone, intelligentiae
vis. L'altro intelletto in havere, che l'intelletto pratico, significando
haver gia appresso, et possedere. Il terzo intelletto agente. et è
quello per virtù delquale noi intendiamo. Et in questo passo
San Tomaso volendo provar l'intelletto agente essere in noi, se ben
mi ricorda da l'esempio della potenza nostra visiva, et di quel raggio
di fuoco, che dentro a noi risponde all'occhio, ilquale noi assai sovente
fregandoci alcun de gli occhi col dito veggiamo internamente in similitudine
di fiamma in rota. per laqual rota fiammeggiante spesse volte avviene,
che noi svegliati, aprendo gliocchi nella oscura notte per picciolissimo
spatio veggiamo, et discerniamo delle cose nella camera, laqual rota
poi debilitandosi a poco a poco perde il vigore. Adunque si come nell'unico
occhio habbiamo il poter vedere, il vedere, et la rota che ci fa vedere:
cosi è in noi non solamente l'intelletto, che puo intendere,
cioè l'ingegno, o l'intellettiva capacità, che dir la
vogliamo; et esso intender, che è l'intelletto prattico, ma ancor
l'intelletto agente, cioè quello, che fa che intendiamo. La rota
di fuoco, di che habbiamo detto, si legge ne gli occhi di Tiberio essere
stata si grande, et si virtuosa, che per gran pezza discerneva nella
sua camera la notte tutte le cose. La onde seguita, che altri l'ha piu,
et altri meno. Et Aristotele quando e' diventa phisionomista, dice,
che quando con difficultà affisiamo gli occhi ne gli occhi altrui,
quel lume dà signification di futuro prencipe. la onde alcuni
antichi hanno lasciato scritto, gli occhi di Iesu Christo essere stati
cosi fatti. Ma Simplicio volendo dimostrare, et provare in ogni modo
questo intelletto agente esser di fuori, dice che egli non altramente
è fuori di noi, che è ancora il Sole fuor della potenza
visiva, ancor che essa per lo detto Sole vegga. Adunque si come nell'occhio
nostro sano è il poter vedere, et ancor tal'hora il vedere, ma
il far vedere, che appartiene al Sole, o ad altro suo vicario, è
di fuori dell'occhio; cosi quantunque nel nostro huomo interiore sia
il potere intendere, cioè l'intelletto possibile, o passibile,
et intendere ancor prattico; non dimeno l'intelletto agente, che è
il raggio divino, o Angelo, o esso Dio, è fuori di noi.
Questa openione di Simplicio par che piu sia approvata dalla scrittura,
massimamente per quel luogo di David. Intellectum tibi dabo, et instruam
te in via hac, qua gradieris. Se adunque Dio ne è il datore,
è ancor quello, che lo sottragge o a tempo o per sempre. Di che
temendo David disse. Et spiritum sanctum tuum ne auferas à me.
Et altrove della perpetua sottrattione è scritto. Relinquentur
domus vestrae desertae. Segue adunque, che questo intelletto agente,
o raggio divino è fuor di noi, et in potestà di Dio. Ilquale
intelletto i philosophi ignoranti di Dio il chiamarono ragione; per
laquale dicono l'huomo separarsi dalle bestie. Ma nel vero l'huomo è
chiamato rationale, o per dir meglio intellettuale, per esser solo fra
gli animali capace di questo intelletto agente; ma quando a Dio non
piace darlo, colui che se ne va senza, non è differente nel dentro
dalle bestie, essendo scritto nel Salmo.
Homo cum in honore esset, non intellexit, comparatus est iumentis insipientibus,
et similis factus est illis. Con questo luogo s'accorda quello oscurissimo
passaggio dell'Apocalissi.
Numerus hominis numerus bestiae, numerus autem bestiae sexcenti sexaginta
sex. percioche il numero che arriva a mille, per la giunta dello intelletto
agente è il numero dell'huomo illuminato. Et percio nella Cantica,
volendosi desiderar bene a chi si parte, si dice nel Testo Hebre. Mille
tibi Solomoth. Ilche significa. Io ti desidero non solamente la figura
humana, ma ancora il raggio divino. Per laqual cosa, quando io saluterò
il mio Eccellentissimo Prencipe, in luogo di dargli il buon dì,
io gli dirò. Mille tibi. Ma mi riservo in altro tempo il dichiarare
di questi numeri. A questa openione par, che si conformi ancor Virgilio
discrivendo il suo ramo d'oro; ilquale essendo di materia diversa dall'albero;
et non bastando l'humana volontà ad haverlo, mostra, che sia
cosa di fuori, et che il favor di Dio ci si convenga a conseguir il
dono di questo itelletto. Ma tempo è homai, che discendiamo alle
nostre imagini: ilche faremo, se prima havremo detto una cosa non pure
appartenente a Theologici simboli, che ho da dare a questa porta, ma
a tutte le imagini del mio Theatro.
Appresso gli antichi adunque era in costume, che quei philosophi medesimi,
iquali insegnavano et mostravano le profonde dottrine a cari discepoli,
poi che le havevano chiaramente dichiarate, le coprivano di favole,
a fin che cosi fatte coperte le tenessero nascose: et cosi non fossero
prophanate.
Ilqual costume aggiunse infino al tempo di Virgilio, ilqual nel suo
dottissimo Sileno, sotto quel nome induce Sirone cantare, cioè
manifestare chiaramente i principij del mondo a Chromi, et a Nasillo,
cioè a Varro, et ad esso Virgilio.
Et poi che quelli ha cantati, entra in favole; cosa che par molto strana
a lettori ignoranti del detto costume. Ad imitatione adunque di cosi
grandi philosophi, poi che io ho chiaramente rivelato il secreto delle
tre anime, et de tre intelletti (cose appartenenti allh'huomo interiore)
io gli coprirò de debiti simboli, a fin che non sieno prophanati,
et ancor per destar la memoria. Fra le favole greche adunque si legge
di tre Sorelle cieche, chiamate le Gorgoni, lequali fra loro havevano
un solo occhio commutabile fra loro, percioche l'una all'altra il poteva
prestare; et quella, che l'haveva, tanto vedeva, quanto lo haveva. Nel
qual simbolo giace tutto il misterio della verità aperta di sopra;
et ci si fa intender il raggio divino esser di fuori, et non dentro
di noi. Or questa imagine coprirà tutto l'ordine del quarto grado,
contenendo sotto le cose appartenenti all'huomo interiore secondo la
natura di ciascun pianeta. Et per venire al particolar delle porte,
sotto le Gorgoni della Luna sarà la imagine della Tazza di Bacco,
laquale è fra'l Cancro et il
Leone. Et secondo, che dicono i Platonici, le anime che vengono in questo
mondo, scendono per la porta del Cancro, et nel ritorno ascendono per
quella del Capricorno. Et la porta di Cancro è detta porta de
gli huomini, per scendere l'anime ne corpi mortali, et quella di capricorno
è detta porta de Dei, per tornar elle in sù alla divinità,
secondo la natura dell'animale, che è segno di quella. Et è
il Cancro casa della Luna, della quale la intelligenza è Gabriel.
Et per scender egli piu volte mandato da Dio, la scrittura il chiama
huomo, dicendo. Ecce vir Gabriel. Et per tornare a' Platonici, dicono
che le anime in discendendo beono della Tazza di Bacco, et si domenticano
tutte le cose di la sù, chi piu et chi meno, secondo, che ciascuna
piu et meno ne bee. fingeremo adunque un Zodiaco in modo, che nella
sua piu alta et piu visibil parte si vegga il Cancro et il Leone, et
la tazza in mezo con una vergine inchinata a berne. Et questa imagine
conserverà sotto volume pertinente alla humana oblivione (quale,
che essa si sia) co suoi conseguenti necessarij, come da ignoranza e
la rozezza. Et questa imagine alla Luna si appartiene, per esser (come
habbiamo detto) la casa di lei il Cancro, intendendo questa fanciulla
per l'anima in comune di tutto quello, che delle tre habbiamo detto.
Sotto le Gorgoni di Mercurio sarà la imagine di una facella accesa,
laquale intendendo noi, che sia quella che accese Prometheo in cielo
con l'aiuto di Pallade, vogliamo che significhi lo ingegno, cioè
l'intelletto possibile o passibile, et la docilità, di cui il
verbo è imparare. Di questa facella parleremo a pieno nel settimo
grado, dove di Prometheo tratteremo.
Sotto le Gorgoni di Venere sarà coperta la imagine di Euridice
punta nel piede dal serpe: et percioche il piede, et in particolare
il calcagno o il talone, che dire il vogliamo, significa i nostri affetti
governati dalla nostra volontà, vogliamo, che questa contenga
la humana volontà, che è una delle potenze dell'anima,
laquale si dividerà in libera et non libera. Et contenerà
questa ancor la Nephes. Et a fine che non ci fugga dalla memoria habbiamo
a saper, che gli Anatomisti dicono, dal talone a i lombi essere una
tal corrispondenza di alcuni nervi, laqual fa, che le scritture alcuna
volta piglino l'un per l'altro. Di che Christo, volendo dir, che i nostri
affetti, et la nostra volontà stesse castigata et monda, disse.
Sint lumbi vestri praecincti, et anche lavò i piedi nel suo partire,
cioè gli affetti a gli Apostoli. Allaqual lavatione non volendo
consentire Pietro, gli disse. Nisi lavero te, non habebis partem mecum.
Et nel Genesi è scritto. Et insidiaberis calcaneo eius. Appresso
si legge nelle favole Greche, Achille fanciullo per essere stato immerso
nelle acque stigie, esser divenuto in tutte le parti invulnerabile,
salvo che ne i piedi, per liquali fu tenuto. et dove l'acque non toccarono;
il che significa, che tanto huomo in tutte le parti poteva essere costante,
pur che non fosse tocco ne gli affetti. Ne senza mistero Iasone andando
a rapire il vello dell'oro perdè l'uno de calzai nel fiume unico
al mondo senza vento. De piedi di Antheo ripiglianti la forza dalla
terra qualunque volta la toccava, ne parlaremo al luogo suo.
Sotto le Gorgoni Solari coprirassi la imagine del Ramo d'oro, et questa
ci significherà l'intelletto agente, la Nessamah l'anima in generale,
l'anima rationale, lo spirito, et la vita.
Sotto le Gorgoni di Marte sarà la imagine di una fanciulla con
un piede scalzo, et con la vesta scinta. Et questa significherà
la deliberatione, overo proposito fermo, et nato subito, a differenza
di quella deliberatione, che è una cosa istessa col consiglio,
laquale è Gioviale. Et l'essere scinta et scalza assai è
inteso per la dichiaratione de lombi, et del piede di Iasone scalzo.
Et questa figura c' espresse Virgilio nella subita et ferma deliberatione
di morire, che fece Dido dicendo di lei, che ella era Unum exuta pedem
vinclis, in veste recincta.
Et da lui habbiamo noi presa questa imagine.
Sotto le Gorgoni Gioviali sarà la imagine di una Gru, che vola
verso il Cielo portando nel becco un Caduceo, et lasciandosi cader da
piedi una pharetra, della quale le saette uscendo cadono all'ingiu per
l'aere spargendosi, quale ho io veduto nel riverso di una antica medaglia.
Et la Gru significa l'animo vigilante, ilquale gia stanco del mondo,
et de suoi inganni, per haver tranquillità vola verso il Cielo
portando il Ccaduceo in bocca, cioè la pace et la tranquillità
di lui. Et da piedi le cade la pharetra con le saette, che significano
le cure di questo mondo. A questa imagine si conforma quel verso del
Salmo. Quis dabit mihi pennas sicut columbae? et volabo, et requiescam.
Ilche tradusse il Petrarca in un suo Sonetto desiderando pur l'ale della
Colomba da riposarsi, et levarsi di terra. Questa gentile imagine ci
conserverà la elettione, il Giudicio et il consiglio. Et si dà
questa imagine, a Giove, per esser Pianeta quieto, benigno, et di mente
composta.
Sotto le Gorgoni di Saturno sarà la imagine di Hercole, ilqual
leva Antheo sopra il petto. Hercole è l'humano spirito, Antheo
è il corpo. il petto di Hercole è la sedia della sapienza,
et della prudenza.
Questi due (come dice Paolo) fanno continua lotta, et incessabil guerra,
percioche di continuo la carne, risurge contra lo spirito, et lo spirito
contra la carne: ne puo lo spirito esser vincitor della battaglia; senon
leva tanto alto dalla terra il corpo, che co' piedi, cioè con
gli affetti non possa ripigliar le forze dalla madre, et tanto lo tenga
stretto, che l'uccida. dove due cose principalmente habbiamo a considerare.
l'una è la morte del corpo, l'altra è quasi la trasformation
di lui nello spirito. Et nel vero se'l corpo nostro non muore della
muorte de gli affetti, non si puo fare spirituale, ne farsi uno in Christo.
Della qual morte cosi parla Paolo. Mortui estis, et vita vuestra abscondita
est cum Christo in Deo, et David. Pretiosa in cospectu Domini mors sanctorum
eius. Et nel salmo 62. si legge, la carne rivolgere il desiderio suo
a Dio al pari dello spirito. Sitivit in te anima mea, quàm multipliciter
tibi caro mea. Et Paolo al terzo a Philippensi. Deus reformaturus est
corpus humilitatis vestrae, configurando ipsum corpori claritatis suae.
Et Christo nella similitudine della morte del grano. Nisi granum frumenti
cadens ad terram mortuum fuerit, ipsum solum manet, si autem mortuum
fuerit, multum fructum affert. Et se ben sarà considerata la
nostra interpretatione, si troverà, che habbiamo ancor manifestata
la trasmutatione, laquale è l'una delle due cose da noi proposte.
Et cio gentilmente toccò il Petr. quando disse.
Volando al ciel con la terrena soma.
Questa trasmutatione ancora assai si manifesta nelle tre cieche sorelle,
lequali havendo l'occhio non loro, ma di fuori, et prestandosi l'una
all'altra, consentendo si conformano insieme, et divengono una cosa
istessa, come Nessamah tirata dall'angelo, che tira la Ruah, et quella
la Nephes. Et cosi si fa la trasmutatione spirituale. Hor questa imagine
per significare et tenacità nella strettezza, che fa Hercole,
et sollevation da terra in alto, coprirà un volume, nel quale
saranno distinte tutte le cose a queste parti appartenenti, come le
impressioni, che l'anima porta dal cielo, la memoria, la scienza, la
openione, l'intelletto prattico, cioè l'intendere, il pensamento,
la imaginatione, et la contemplatione. Et a Saturno si conviene questa
imagine prima: percioche la medesima misura nel sopraceleste della Binà,
cioè dell'intelletto, è comune a Saturno. Et poi per esser
cosa ferma, una altra imagine sarà ancor sotto questa porta,
et cioè una fanciulla ascendente per lo Capricorno. Et questa
significherà la ascesa delle anime in cielo. Et questa imagine
è data a Saturno, per esser il Capricorno casa di lui.