piu Antichi et piu savi scrittori hanno sempre havuto
in costume di raccomandare a loro scritti i secreti di Dio sotto oscuri
velami, accio che non siano intesi, se non da coloro, i quali (come
dice Christo) hanno orecchie da udire; cioè che da Dio sono eletti
ad intendere i suoi santissimi misteri. Et Melisso dice, che gli occhi
delle anime volgari non possono sofferire i raggi della divinità.
Et ciò si conferma con lo esempio di Mosè, il quale scendendo
dal monte, sopra il quale egli anchor per lo mezo dell'Angelo haveva
parlato con Dio, non poteva esser guardato dal popolo, se egli il viso
col velo non si nascondeva. Et gli Apostoli ancora veduto Christo trasfigurato:
cioè quasi partito dalla grossezza della humanità, alla
quasi gloria della divinità: non sufficienti a riguardarlo per
la debolezza cadderono. Et nell'Apocalipsi si legge. Et significavit
mittens per Angelum suum servo suo Ioanni. Dove è da notare,
che anchor a Giovanni, con tutto, che egli fosse servo suo; non aperse
l'intendimento suo, senon per significationi et per visioni. Et veramente,
si come nella mondana militia sono adoperate le voci de Capitani, et
le trombe et le insegne, per conducere et inanimar le armate schiere
contra i nimici; non in altra maniera nella militia divina habbiamo
noi per la voce le parole del Signore, le angeliche trombe, lequali
sono le voci di Profeti, et de predicatori, et le insegne: et queste
sono i segni delle visioni; lequali significano, et non esprimono. A
questo habbiamo da aggiunger, che Mercurio Trismegisto dice, che il
parlar religioso et pien di Dio viene ad esser violate, quando gli sopraviene
moltitudine volgare. La onde non senza ragione gli antichi in su le
porte di qualunque tempio tenevano o dipinta, o scolpita una sphinga,
con quella imagine dimostrando, che delle cose di Dio non si dee, senon
con enigmi far publicamente parole. Il che in piu maniere ci
è stato ancora insegnato da Dio: che parola di Christo è,
che le margarite non si debbiano gittare a porci, et che a cani non
vogliamo dar le cose sante . Et parlando a gli Apostoli suoi disse loro.
Vobis da tum est nosse misterea regni coelorum, caeteris in parabolis,
ut videntes non videant, et audientes non intelligant. Et nel quarto
di Esdra Dio parlando di Mosè fatto salir sopra il monte, dice.
Et detinui eum apud me diebus multis, et narravi ei mirabilia multa
temporum, secreta, et finem. et dixi. haec in palam facies, et haec
abscondes. Et David a Dio parlando dice. Revela oculos meos, et considerabo
mirabilia tua. dove disse non di dover palesare, ma solamente di considerar
le altre maraviglie. Poi appartenendo le cose divine al sopraceleste
mondo, et essendo quello separato da noi dalla massa di tutti i cieli;
et non potendo la lingua nostra giunger alla espressione di quello,
senon (dirò così) per cenni et per similitudini, a fine
che per lo mezzo delle cose visibili sagliamo alle invisibili: non ne
è lecito, ancor, che Dio ci desse qualche gratia di ascendere
al terzo cielo, et di vedere i suoi secreti; quelli dico non ci è
lecito di revelare; percioché quelli rivelando, doppio error
si viene a commettere. Et ciò di scoprirgli a persone non degne,
et di trattargli con questa nostra bassa lingua, essendo quello il suggetto
delle lingue de gli angeli. Iquali due inconvenienti volendo fuggir
Giovanni, scrisse le sue visioni senza cercare in altra guisa dichiararle.
Et noi nelle cose nostre ci serviamo delle imagini, come di significatrici
di quelle cose, che non si debbon profanare. Et quanto a Dio sia caro,
che le cose sue siano tenute nella riverenza de loro velami; esso medesimo
ne fa fede, chiamando Mosè fedel ministro suo. Et da Cabalisti
Ezechiel vien chiamato propheta villano, per haver alla guisa d'un'huomo
di villa scoperto tutto quello che egli havea veduto. Ne tacerò
io, che i medesimi Cabalisti tengono che Maria sorella di Mosè
fosse dalla lebbra oppressa per haver revelate le cose secrete della
divinità: et che per lo medesimo delitto Ammonio morisse di sporca
et misera morte. Et tanto bastandoci di haver detto della riverenza
di quel silentio, nel qual si habbiamo da tener le cose sante, passiamo
col nome del Signore a ragionar del nostro theatro.
Salomone al nono de Proverbii, dice la sapienza haversi edificato casa,
et haverla fondata sopra sette colonne. Queste colonne significanti
stabilissima eternità habbiamo da intender che siano le sette
Saphiroth del sopraceleste mondo; che sono le sette misure della fabrica
del celeste et dell'inferiore, nelle quali sono comprese le Idee di
tutte le cose al celeste, et all'inferiore appartenenti. Di che fuori
di questo numero cosa alcuna non possiamo imaginare. Questo settenario
numero perfetto; percioche contiene l'uno et l'altro sesso, per esser
fatto di pari et di dispari. onde volendo dir Virgilio perfettamente
beati, disse, terque quaterque. Et Mercurio Trismegisto nel Pimandro
parlando della creation del mondo, induce se medesimo a domandare. Elementa
naturae unde manarunt? Et Pimandro risponde. Ex volontate Dei, quae
verbum complexa, pulchrumque; intuita mundum, ad eius exemplar reliqua
sui ipsius elementis, vitalibusque; seminibus exornavit. Mens autem
Deus utriusque sexus foecunditate plenissimus vita, et lux cum verbo
suo mentem alteram opificem peperit: qui quidem Deus ignis, atque spiritus
septem deinceps fabricavit gubernatores, qui circulis mundum sensibilem
complectuntur. Et nel vero havendo la divinità esplicate fuori
queste sette misure, segno è che nello abisso della sua divinità
siano anchor implicatamente contenute, percioche nemo dat quod non habet.
Queste colonne Esaia le chiama femine, quando dice. Septem mulieres
apprehenderunt sibi virum unum, Et chiamale femine, che vuol dir passive,
cioè produtte. Ma se come dice Paolo: Portat omnia verbo virtutis
suae. Et altrove. Unum in omnibus, et omnia in uno. Et a Colossensi.
Est imago Dei invisibilis, primogenitus omnis creaturae, quoniam in
ipso condita sunt universa in coelis et in terra, visibilia et invisibilia,
sive Throni, sive dominationes, sive principatus, sive potestates, omnia
per ipsum et in ipso creata sunt: segue che non possiamo trovar magion
piu capace, che quella di Dio. Or se gli antichi oratori, volendo
collocar di giorno in giorno le parti delle orationi, che havevano a
recitare, le affidavano a luoghi caduchi, come cose caduche; ragione
è, che volendo noi raccomandare eternalmente gli eterni di tutte
le cose, che possono esser vestiti di oratione con gli eterni di essa
oratione; che troviamo a loro luoghi eterni. L'alta adunque fatica nostra
è stata di trovare ordine in queste sette misure, capace, bastante,
distinto, et che tenga sempre il senso svegliato, et la memoria percossa.
Ma considerando che se volessimo mettere altrui davanti queste altissime
misure, et si lontane dalla nostra cognitione, che solamente da propheti
sono state ancor nascosamente tocche, questo sarebbe un metter mano
a cosa troppo malagevole. Pertanto in luogo di quelle piglieremo i sette
pianeti, le cui nature anchor da volgari sono assai ben conosciute:
ma talmente le useremo, che non ce le propogniamo come termini, fuor
de quali non habbiamo ad uscire, ma come quelli, che alle menti de savi
sempre presentino le sette sopracelesti misure. Et è ben ragione,
che si come parlando delle cose inferiori, la loro natura i sette pianeti
ci rappresenta, secondo, che questa a quello, et quella a quell'altro
è sottoposta; così ancor de' pianeti parlando, ritornino
alla mente quei principij, donde quelli hanno havuto la loro virtù.
Questa alta et incomparabile collocatione fa non solamente officio di
conservarci le affidate cose, parole, et arte, che a man salva ad ogni
nostro bisogno informati prima le potremo trovare; ma ci da anchor la
vera sapienza, ne fonti di quella venendo noi in cognition delle cose
dalle cagioni, et non da gli effetti. Ilche piu chiaramente esprimeremo
con uno esempio. Se noi fossimo in un gran bosco, et havessimo desiderio
di ben vederlo tutto, in quello stando, al desiderio nostro non potremmo
sodisfare: percioche la vista intorno volgendo, da noi non se ne potrebbe
veder, se non una picciola parte, impedendoci le piante circonvicine
il veder delle lontane: ma se vicino a quello vi fosse una erta, la
qual ci conducesse sopra un'alto colle, del bosco uscendo, dall'erta
cominciaremo a veder in gran parte la forma di quello; poi sopra il
colle ascesi, tutto intiero il potremmo raffigurare. Il bosco è
questo nostro mondo inferiore, la erta sono i Cieli; et il colle il
sopraceleste mondo. Et a voler bene intender queste cose inferiori,
è necessario di ascendere alle superiori: et di alto in giu guardando,
di queste potremo haver piu certa cognitione. Di questo modo
di intender par che gli antichi scrittori gentili non ne fossero al
tutto digiuni. di che Massimo Tirio allega Homero, che induce Ulisse
asceso in alta parte considerare i costimi de gli habitanti . Et Aristotele
ci lasciò scritto, che se noi fossimo sopra i cieli, si potrebbe
da noi conoscere l'Eclisse del Sole et della Luna per le loro cagioni,
senza volere a quelle ascendere da gli effetti. Et Cicerone nel sogno
del menore Scipione fa, che di cielo l'avolo suo a lui dimostra le cose
terrene. Ma et Cicerone, et Aristotele, come quelli, che piu oltra non
intendevano, ne cieli si fermarono. Et noi, a cui Dio ha dato il lume
della gratia sua, non dobbiamo star contenti di fermarci ne cieli; anzi
col pensiero ci dobbiamo inalzare a quella altezza, donde sono discese
le anime nostre, et dove elle hanno da ritornare; che questa è
la vera via del conoscere, et dell'intendere. Alla qual percio non debbiamo
presontuosi pensar di dover per nostra virtù poter pervenire:,
ch'a questo modo ci sarebbe detto da Dio quello, che fu risposto a Mosè
nella sua presontione. Posteriora mea videbis, faciem autem meam non
videbis. Et cio è. tu vederai gli effetti delle cose, ma non
le cagioni di quelle. Anzi habbiamo noi a pregar la divina sua Maestà,
che ci faccia degni di quella gratia, laquale quando poi piacque a lei,
ella donò al medesimo Mosè, mostrandogli le molte sue
maraviglie; ilche sarà quando noi saremo fatti tali, che annichilati,
et di noi stessi nulla presumendo, potremo con l'Apostolo dire.
Iam non vivo ego, sed vivit in me Christus. Or essendo il proceder nostro
cosi ragionevole, come mostrato habbiamo, del conoscer di alto le cose
basse, et di prender nella fabrica nostra ad imitation della celeste
il numero settenario, per venire al primo ordine, dico che io non lo
trovo ne piu perfetto, ne piu divino, che per un altro settenario applicato
a ciascuna delle dette colonne, o vero a ciascuno de detti pianeti,
che dir gli vogliamo. Dicono adunque i secretissimi Theologi, iquali
sono i Cabalisti; che Mosè sette volte passò per le sette
Saphirot senza poter giamai passar la Binà. Et dicono, quello
esser il termino, al quale l'intelletto human puo esser levato. Et Benche
Mosè giunto alla detta Binà, havesse di rimpeto la faccia
della corona superiore, et quella della Chochmà, onde è
scritto, loquebatur facie ad faciem: nondimeno veramente ad esso Dio
non parlò, senon per l'Angelo, (come si legge ne gli Atti de
gli Apostoli) et questo avenne, percioche. Nemo novit filium, nisi pater,
neque patrem quis novit, nisi filius, et cui voluerit filius rivelare.
Et essendo Mosè arrivato alla Binà, nella quale è
un officio di Angelo detto Mitrathon; cioè princeps facierum;
con quello hebbe i suoi ragionamenti. Essendo egli adunque salito sette
volte sette fiate, che sono quarantanove, numero della remissione; alqual
numero ancor Giesu Christo volse che ascendessimo facendo oratione al
padre: impercioche la oratione, che Dominical chiamiamo, secundo l'Hebreo
testo scritto da Matteo, è di quarantanove parole: l'ombra di
queste salite imitando noi, habbiamo dato sette porte, o gradi, o distintioni,
che dir le vogliamo, a ciascun pianeta.
Ma per dar (per così dir) ordine all'ordine con tal facilita,
che facciamo gli studiosi come spettatore, mettiamo loro davanti le
dette sette misure sostenute dalle misure de sette pianeti in spettaculo,
o
dir vogliamo in Theatro distinto per sette salite. Et perche gli antichi
Theatri erano talmente ordinati, che sopra i gradi allo spettaculo piu
vicini sedevano i piu honorati: poi di mano in mano sedevano
ne gradi ascendenti quelli, che erano di menor dignità, talmente,
che ne supremi gradi sedevano gli artefici, in modo che i piu vicini
gradi a piu nobili erano assegnati, si per la vicinità
dello spettaculo, come ancora perche dal fiato de gli artefici non fossero
offesi: noi seguendo l'ordine della creation del mondo, faremo seder
ne primi gradi le cose piu semplici, o piu degne, o che possiamo imaginar
esser state per la disposition divina davanti alle altre cose create.
Poi collocheremo di grado in grado quelle, che appresso sono seguite,
talmente; che nel settimo; cioè nell'ultimo grado superiore;
sederanno tutte le arti et
facultà, che cadano sotto precetti, non per ragion di viltà,
ma per ragion di tempo, essendo quelle, come ultime da gli huomini state
ritrovate. Nel primo grado adunque si vedranno sette porti dissimili,
percioche ciascun Pianeta in figura humana sarà dipinto sopra
la porta della a lui destinata colonna, salvo che alla colonna del Sole:
impercioche essendo quello il piu nobil luogo di tutto il Theatro, vogliamo,
che quello Apollo, ilqual dovrebbe per sua ragione esser dipinto in
pari grado con gli altri, ceda al conivio della latitudine de gli Enti,
che è imagine della divinità. Adunque sotto la porta di
ciascun pianeta saranno conservate tutte le cose appartenenti così
alla misura del sopraceleste suo corrispondente, come a quelle che appartengono
ad esso pianeta, et alle fintion de Poeti intorno a quello, si come
diremo hora particolarmente di ciascuno.
Sotto la porta della Luna si tratterà del suo mondo sopraceleste
Marcut et Gabriel.
Del celeste la Luna, la opacità, la grandezza, et la distanza
di lei. Nelle favole Diana, le sue insegne et il numero delle Diane.
Sotto la porta di Mercurio nel suo mondo sopraceleste sarà Iesod,
et Michael.
Nel celeste il suo pianeta.
Nelle favole Mercurio messaggier de Dei, et suoi arnesi.
Sotto la porta di Venere nel sopraceleste Hod, Nizach, Honiel.
Nel celeste Venere pianeta.
Nelle favole Venere Dea, Cupidine, suoi arnesi, il numero delle Veneri
et de Cupidini.
Sotto la quarta porta del primo grado del Sole, sopra laquale troveremo
(come è detto) non Apolline, ne il Sole, ma un convivio, delquale
parleremo trattando del secondo grado.
Sotto la quarta porta, adunque primieramente troveremo la latitudine,
o vogliamo dir la larghezza de gli Enti, fatta a guisa di Piramide,
sopra la cui sommità imagineremo un punto indivisibile, che ci
havrà a significar la divinità et senza relatione et con
relatione. Il Padre, il Verbo avanti la incarnatione et da poi, et lo
Spirito Santo.
Appresso vi si vedrà una imagine di Pan, ilquale percioche con
la testa significa il sopraceleste con le corna d'oro, che in su guardano,
et con la barba i celesti influssi, et con la pelle stellata il mondo
celeste, et con le gambe caprigne l'inferiore: sotto questa figura ci
saranno significati i tre mondi.
Nel terzo luogo sotto la porta medesima ci si appresenteranno le Parche
significatrici del fato, della cagione, del principio, della cosa, dell'effetto
et del fine. Et quest'istessa imagine sotto Pasiphe significherà
l'huomo esser cagione di alcuna cosa.
Et sotto i Talari significherà dar cagione.
Una quarta imagine sarà ancor sotto questa porta. Et questa sarà
un arboro con un ramo d'oro; il quale è quello, delqual scrive
Virgilio, che senza quello non si puo andar a veder il regno dell'inferno.
Et questa imagine in questo luogo ci significherà cose intelligibili,
et che non possono cader sotto il senso. ma solamente le possiamo imaginare,
et intendere illuminati dallo intelletto agente.
Et questa istessa imagine sotto le Gorgoni significherà l'intelletto
agente, del quale parleremo al suo luogo.
Sotto la porta di Marte si tratterrà nel mondo sopraceleste Gabiarah,
et Camael.
Nel celeste Marte pianeta, et nelle favole Marte Dio et suoi arnesi.
Sotto la porta di Giove nel mondo sopraceleste, Chased, et Zadchiel.
Nel celeste Giove pianeta.
Nelle favole Giove Dio et le sue insegne.
Sotto Saturno haveremo nel sopraceleste Binà et Zaphchiel.
Nel celeste Saturno pianeta.
Nelle favole Saturno Dio et le sue insegne.
Et con questi suggetti viene ad esser concluso il primo grado del
Theatro.