Elementi per la costruzione di realtà alternative. Il Barocco e le Avanguardie |
LA METAFORA
Un punto che accomuna l’estetica barocca e quella maturata dalle
avanguardie storiche è la meditazione e la conseguente polemica
intorno al principio di mimesis e al canone della verosimiglianza. Questi
concetti vennero introdotti dai teorici rinascimentali nella prima metà
del Cinquecento in seguito alla riscoperta della Poetica di Aristotele;
il principio di mimesis cioè di imitazione, implicava sia l’imitazione
dei modelli artistici classici e tradizionali ritenuti tecnicamente e
qualitativamente perfetti, sia l’imitazione della realtà.
Tale realtà, per motivi riguardanti il decoro e la morale e per
la trasfigurazione implicita nel procedimento artistico, doveva essere
necessariamente liberata da ogni accidente e particolarità, quindi
ideale, generale, universale. Pur ammettendo una certa mescolanza di vero
e falso, di reale e di immaginato, nel complesso il soggetto doveva rispondere
al canone della verosimiglianza, cioè della sua congruenza con
una possibile realtà.
Anche dal punto di vista letterario venne coltivato una sorta di illusionismo,
che derivava dall’impiego sistematico del potere metaforico della
parola. Tra i teorici della cosiddetta acutezza, o ingegno, cioè la facoltà
di creare delle relazioni sorprendenti tra degli elementi della realtà
che normalmente non sono relazionati tra loro in quanto appartenenti a
campi semantici lontani, va ricordato Baltasar Gracián (1601 –
1658), che la definisce come La metafora barocca quindi sfruttava delle analogie inaspettate e tanto
più distanti ed estremi erano i termini di paragone, tanto più
efficace e meraviglioso era il risultato. Parafrasando: il cane di un cielo ormai vestito di stelle, stava sferzando
i suoi ultimi colpi quando giunse Acis, salamandra del sole, con i capelli
impolverati e gocciante di sudore ardente, il quale, volgendo gli occhi
ad occidente, dove ben due luci (il sole e Galatea) erano state vinte
dal sonno, apprestandosi a bere, si accorse di Galatea. Ovvero: Il sole
è tramontato, Acis giunge accaldato ad una fonte nei pressi della
quale si è addormentata la bellissima ninfa Galatea e la scorge.
E quindi Il gusto per le metafore e le sinestesie così caratteristico del periodo barocco può essere considerato, dunque, come una delle molteplici manifestazioni della crisi che investì l’epoca, derivante sia da gravi situazioni storiche (nel caso specifico della Spagna sono le epidemie, le guerre per il mantenimento dell’impero, la decadenza politica, ecc.) sia dall’assimilazione di concetti che avevano cambiato il ruolo e l’importanza dell’uomo nel cosmo: le esplorazioni terrestri e le scoperte astrali comportarono la perdita definitiva della pretesa di centralità dell’Europa occidentale rispetto al mondo e dell’uomo rispetto all’universo. Il tentativo di accedere a (o riscrivere) questo mistico libro di segni per poter ristabilire l’unità del creato, può essere dunque considerato un modo per recuperare il controllo dello spazio in cui l’uomo è immerso e per rientrare in un’armonia organica con il mondo fenomenico e con i propri simili. Da qui il rapporto ambiguo di meraviglia ed inquietudine nei confronti della realtà, di comunione e diffidenza nei confronti degli altri esseri umani.
Il rapporto problematico con i principi di mimesis e di verosimiglianza
nei confronti della realtà riemerge in maniera decisa in epoca
contemporanea, specialmente come reazione all’esperienza del naturalismo.
Il pensiero positivista, che sta alla base di questo movimento, aveva
individuato nel progresso delle conoscenze scientifiche la chiave per
poter finalmente comprendere in maniera certa ed univoca l’uomo
e la sua vita. L’uomo e la società diventano degli oggetti
da osservare, sezionare e studiare; alla stregua di tutto ciò che
si trova in natura, essi rispondono agli stimoli ambientali in maniera
meccanica ed evolvono secondo le leggi darwiniane di conservazione della
specie. La scienza invade anche il campo dell’arte e l’artista
diventa un mero osservatore del mondo, freddo e distaccato, che registra
di preferenza le patologie sociali (specialmente del proletariato) scaturenti
dall’industrializzazione.
I primi a meditare sul ruolo della creazione artistica nei confronti
della realtà in senso contemporaneo furono i simbolisti. Dal punto
di vista letterario essi riesumarono l’antica ipotesi della natura
come selva di simboli che al poeta tocca interpretare, relazionare e svelare.
Per fare ciò il poeta deve abbandonare la logica e la referenzialità
tradizionali e preferire tecniche come il simbolo, la metafora ricercata
di tipo barocco, cioè quella i cui termini di paragone appartengono
a campi semantici distanti tra loro; ritornarono in auge la sinestesia
e gli accostamenti imprevisti o apparentemente misteriosi che permettono
di andare oltre alla semplice rappresentazione “approfondita”
della realtà. A partire dal simbolismo il potere creativo di tale figura sarà
una questione centrale e necessaria del discorso poetico e ciò
contribuirà al progressivo svincolarsi delle forme espressive dai
lacci del principio di mimesis, nel nome di una definitiva autonomia.
Il Creazionismo di Vicente Huidobro (1893-1948) viene interpretato da
G. G. Brown come una versione estrema ed esagerata del pensiero che sta
alla base dell’arte autonoma, ovvero un concetto che ha origine
negli studi della linguistica, che si è evoluto soprattutto nell’ambito
del Dadaismo e che si fonda sull’idea della totale indipendenza
dell’Arte dalle leggi del mondo fenomenico. Nel 1918, durante il suo viaggio di ritorno in patria, Huidobro passò
e sostò a Madrid, sfruttando l’opportunità di propagandare
nei circoli letterari e nelle tertulias i capisaldi del Creazionismo;
in quel momento, tra le minoranze letterarie della capitale, godeva di
discreto successo l’Ultraismo e fu proprio con questo che le idee
di Huidobro si legarono, trovandovi la spinta necessaria per il salto
di qualità.
Imagen di Gerardo Diego (1896-1987) fissa sulla pagina proprio questo passaggio da un Ultraismo ancora legato nelle forme alla tradizione (coincidente con la prima sezione del libro, Evasión e contenente poesie composte tra il 1918 e il 1919) al Creazionismo più fremente (riscontrabile nella seconda e terza sezione, Imagen Múltiple e Estribillo, entrambe contenenti poesie scritte tra il 1919 e il 1921); è un passaggio lento e meditato, un processo favorito certamente sia dall’illanguidirsi della prima poetica, sia dall’incontro personale avvenuto tra Diego e Huidobro a Parigi. Ma più che un annullamento di un’avanguardia nell’altra, ci troviamo di fronte ad una sinergia, ad un reciproco alimentarsi, motivarsi e sostenersi. Le poesie appartenenti a Evasión appaiono eterogenee sia per la
forma che per i temi, ma non bisogna dimenticare che la maggior parte
di esse vennero pubblicate in Ultra, Cervantes, Grecia, Reflector, ovvero
riviste nate per la propaganda dell’estetica ultraista e nelle quali
Diego collaborò attivamente. Lo stesso poeta definisce questo primo
gruppo di poesie dando loro il valore di esercizi letterari, di ricerca di poetica personale,
di momenti di allenamento nei confronti della tecnica tradizionale appresa,
di adeguamento rispetto alle estetiche avanguardiste imperanti. Ma esse
sono già perfettamente in linea con lo spirito delle avanguardie:
lo testimonia la poesia d’apertura, Salto del trampolín 10
(Testo n. 1), che è insieme accettazione delle novità elaborate
dalle maggiori avanguardie, manifesto della poetica ultraista ed esortazione
alla creazione di realtà inedite. Forse è questo che Diego intende parlando di un salto del trampolín
e proponendo di brincar hasta el confín / de un nuevo panorama:
è un’esortazione a raccogliere le proprie forze, a spiccare
un salto tale che permetta al poeta (ma anche al lettore) di abbandonare
definitivamente la posizione che, per quanto elevata sia, non permette
di superare i confini del visibile e di scoprire cosa si cela al di là
dell’orizzonte. L’autore rispetta ancora gli schemi strofici e le rime, non insiste
nel gioco della disposizione visiva della poesia sulla pagina, ed è
rarissimo l’utilizzo di immagini insolite o illogiche, come accade
in Apunte (Una música anida / en la casa de frente 12) in cui un
suono si associa ad un’azione che oltre ad appartenere ad una sfera
semantica differente, inverte la direzione fisica dei procedimenti naturali:
la musica invece di espandersi sembra entrare nell’edificio, contrarsi
e concentrarsi in un suo angolo. I timidi tentativi di Diego, dunque,
si snocciolano rapidamente uno dopo l’altro e sembrano, a dire il
vero, fallire i loro innovativi propositi. Per Diego gli strumenti imprescindibili per creare questi mondi nuovi
sono le parole; esse già esistono, non se ne devono inventare di
nuove (con los mismos ladrillos, / con las derruidas piedras). Bisogna
piuttosto scompaginare le relazioni che sussistono tra loro (con los tablones
rotos) ed instaurarne di inedite (levantemos de nuevo nuestros mundos). Le diciassette poesie della sezione Imagen múltiple sono considerate
il nucleo della raccolta sia per la loro ubicazione, sia perché,
secondo L. Barnel in esse Le composizioni sono precedute da alcune linee in prosa, un concentrato
di idee che si ispirano in parte ai precetti di Huidobro e in parte provengono
dalla meditazione personale di Diego, convertendosi così in un
vero e proprio manifesto poetico creazionista. Secondo Huidobro quindi tutta la poesia anteriore al Creazionismo era
stata un’imitazione del mondo esteriore, un cantare qualcosa di
già esistente; questo è il senso di “comportarsi come
uno specchio”. Ciò che lui proponeva, ora, era di imitare
non i prodotti della natura ma i suoi procedimenti creativi, ovvero In una conferenza avvenuta nell’Ateneo Hispano de Buenos Aires
Huidobro confessò il debito nei confronti delle parole di un vecchio
poeta indigeno dell’America del Sud (aymarà): Diego, in Creacionismo aveva già accennato, come abbiamo visto,
che le parole sono i soli strumenti necessari al poeta per generare imágenes
múltiples (Las palabras no dicen nada pero lo cantan todo) e per
creare nuovi mondi. Per capire, finalmente, cosa siano queste immagini
multipli possiamo fare riferimento ad un articolo dello stesso Diego che
apparve nella rivista Cervantes del 1919: Il concetto di musicalità qui è impiegato metaforicamente,
come un complesso di elementi (le note, il ritmo…) che combinati
formano un’unità sufficiente ed autonoma (la sinfonia, ad
esempio). Allo stesso modo le parole se engarzan en una libre melodía
de armonía s21 (Testo n. 5) e formano l’immagine multiple,
Nueva célula del organismo autónomo. Poiché nasce
da una giustapposizione imprevista di termini, essa non si appoggia su
nessuna abitudine interpretativa, provocando così, in ogni lettore,
una sensazione diversa (Que la obra viva por sí sola y resuscite
en cada ombre una emoción distinta.). I muscoli di Huidobro, così come lo scheletro di Diego, hanno
perduto la loro funzione di sostenere l’organismo e restano esposti
dietro il vetro di un museo, a testimonianza di ciò che erano. Nelle linee in prosa messe ad introduzione di Estribillo 25 (Testo n.
7), Diego raffina ulteriormente il concetto di nuovo mondo e di mezzi
per conseguire questa realtà alternativa. Per comprendere meglio questa affermazione può essere d’aiuto
ricorrere all’haiku, genere lirico giapponese (codificato in tre
versi di rispettivamente cinque, sette, cinque sillabe), importato in
Europa attraverso la Francia che riscosse grande successo nei primi anni
Venti; Huizinga spiega che A. Salazar ci fornisce un’interpretazione dall’haiku meno
tecnica ma più efficace ai nostri fini: Tra le peculiarità dell’haiku vanno ricordati: il kigo,
cioè la parola-chiave che indica la stagione, attorno a cui ruota
tutto il contenuto e che svela il vero significato del haiku; la veste
autobiografica, il momento esistenziale, in quanto l'haiku non è
disgiunto dal haijin che lo scrive; l'omissione di alcuni nessi di collegamento,
un aspetto estremamente semantico perché da lì si produce
lo choc, il bagliore che rivela il significato profondo dei versi; l'omissione
del soggetto, che in realtà è una caratteristica della lingua
giapponese stessa. Si tratta quindi di composizioni che si accordano perfettamente con gli
ideali di purezza, di autosufficienza, di auto-referenza, di eliminazione
dell’aneddotico a scopi metaforici. La ricerca di Diego si dirige verso l’elemento poetico primordiale,
il nuovo mattone, in nuovo organismo cellulare che oltre che sensazioni
dà anche consistenza al mondo creato; si occuperà di piccoli
oggetti, oggetti del mondo. La metafora musicale. Gerardo Diego, nel formulare il suo concetto di metafora dagli imprevedibili
poteri evocatori e creatori, ma anche nell’affrontare la struttura
di alcune sue composizioni e più in generale dell’intera
raccolta, fa riferimento in maniera sempre più decisa alla dimensione
musicale e alle sue intrinseche qualità. Ma allo stesso tempo egli individua delle affinità tra la musica
e la poesia che giustificano il suo ambizioso progetto: Il poeta, come il musico, si ispirerebbe in elementi appartenenti al
mondo esterno ed interno, ma li tradurrebbe, o meglio li rielaborerebbe
in forme esclusive della dimensione poetica. La loro popolarità deriva cioè dal saper tradurre in musica
le emozioni (banali, mediocri, patetiche) che si sprigionano negli uomini
comuni, la facilità dell’ascolto e quindi l’immediato
apprezzamento sono dati dall’identificazione e immedesimazione delle
suggestioni musicali. La musica di Debussy, dunque non è mimesis di un sentimento, ma
elaborazione artistica di una riflessione provocata dalla contemplazione
distante del sentimento. Ortega conclude affermando che La musica di Debussy fa l’effetto di uno sparo di rivoltella, ci
fa trasalire, uscire “da questo bagno d’intimità”
mettendo all’erta (e quindi attivando) i nostri cinque sensi: Non a caso, dunque Diego pone D’après Debussy dopo San Juan,
manifestando in questo modo l’avvenuta maturazione delle sue aspirazioni
e dei suoi ideali estetici. L’orchestra avrebbe eseguito la sinfonia nascosta dietro il sipario.
Abbiamo già visto che l’arte raggiunge la sua autonomia
solo dopo essersi spogliata di quelle funzioni che le vengono tradizionalmente
attribuite e che la subordinano al mondo fenomenico. L’arte perde
il suo alone di trascendenza nel momento in cui si rifiuta di osservare
certe responsabilità, come una verosimigliante coerenza o una trasmissione
di messaggi che implichino la riflessione su aspetti etici o morali; l’artista,
da parte sua, si licenzia dal ruolo di semplice intermediario tra realtà
contingente e mondo ideale e si riappropria dell’originale funzione
creatrice. Egli, quindi non “informa” ma “forma”. che può essere sospesa in qualunque momento. L’esistenza
di questo mondo temporaneo e conchiuso dipende da regole prestabilite,
le quali garantiscono l’ordine e l’armonia durante lo svolgimento
del gioco. ovvero come un personaggio che agisce in un circo, cioè in un
luogo che gli permette di compiere le sue illusioni, quali eludere le
leggi fisiche naturali, materializzare oggetti e manipolare esseri viventi
senza conseguenze. Imagen, a mio avviso può essere considerata un vero campionario
di giochi e passatempi, specialmente la sezione Evasión, nella
quale quasi ogni poesia cita un elemento dell’immaginario ludico
infantile, ma anche più maturo. Ria si apre invece con l’immagine di un juguete de madera che solca
la terra (una nave che risale la stretta ria) e in Ahogo appare Gulliver
che affonda le navi del marinaietto rivale in amore del poeta. Ecco allora che, sotto questa luce, il titolo della prima sezione acquista
una nuova sfumatura: Evasión non significa solo lasciarsi alle
spalle le consuetudini che imprigionano la creatività e gettarsi
alla ricerca di mete inedite, ma è più precisamente svago,
distrazione, “divertimento” anche nel senso di allontanamento,
deviazione: è la sospensione delle regole della logica e dell’evidenza.
Il termine indica quindi lo stato mentale con cui affrontare questa avventura
poetica, che in fondo è lo stesso che permette ad un bambino di
sedersi a capo di una fila di sedie e di “essere” la locomotiva
del suo trenino. Diego riesce a calare il lettore in un’atmosfera fanciullesca attraverso
riferimenti visivi concreti, scatenando una sorta di riemersione di ricordi
e quindi un vero e proprio gioco di riconoscimento di esperienze infantili
accantonate. Huizinga si sofferma in particolare sull’analisi delle poesie di
carattere sociale e competitivo, appoggiandosi sugli studi antropologici
condotti nell’ Indonesia Orientale da De Josselin de Jong, nella
prima metà degli anni Trenta. Come non pensare allora ad una composizione come Verbos, dove il significato
dei versi è andato quasi perduto in favore delle assonanze e dove
i paradigmi verbali sembrano non avere altro scopo che il mantenimento
del ritmo interno della poesia? O Jaculatoria, che sviluppa un piccolo ventaglio di immagini basate sul
gioco di combinazioni tra una manciata di parole? Alcune poesie popolari, infine, hanno la funzione di accompagnare le azioni quotidiane che scandiscono il lavoro umano; a questo proposito mi limito a ricordare che Estribillo è definito come un friso sonoro, cioè un accompagnamento musicale all’intensa attività creativa che si sta svolgendo nella sezione precedente e alla quale contribuisce attraverso i ritmi, le assonanze, i giochi di parole e le allusioni celate da interpretare.
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