Elementi per la costruzione di realtà alternative. Il Barocco e le Avanguardie |
LA MACCHINA
L’ultima grande tematica che analizzerò nella mia ricerca
riguarda la macchina, presenza ora metaforica ora reale che caratterizza
fortemente sia la cultura barocca che quella contemporanea. Da un lato
il congegno meccanico è il prodotto materiale della genialità
e manualità umana, legato indissolubilmente al progresso della
scienza e della tecnica, che viene utilizzato sia per fini utilitaristici
(congegni idraulici, macchine di guerra, strumenti di misurazione e precisione
ecc.) sia per fini ludici e meravigliosi (macchine teatrali, automi ecc.).
Dall’altro si lega a interpretazioni filosofiche (per esempio la
visione del mondo fenomenico come macchina perfetta), a inquietudini religiose
(l’uomo rivale di Dio), a tematiche sociali e storiche (il danno
e l’utilità) e a programmi di natura artistica ed estetica
(la metamorfosi dell’uomo in macchina e viceversa), tutte questioni
che si ripresentano oggi come allora. ora si ritiene che tra i fenomeni naturali e quelli artificiali indotti
cioè dalla mano dell’uomo non sussiste differenza o gerarchia: Tra i prodotti della natura e quelli artificiali non solo non esisterebbe
alcuna distinzione di essenza, ma si stabilirebbero anche delle meravigliose
analogie: la macchina sempre più spesso serve da modello o termine
di paragone per concepire e comprendere il funzionamento la natura, per
cui, paradossalmente, si comincia a pensare che La metafora del mondo come meccanismo raffinatissimo contribuì
all’idea che In un certo senso questa visione si collega a quella già analizzata in precedenza, a proposito della metafora barocca, secondo la quale tra gli elementi del mondo fenomenico esisterebbero delle relazioni nascoste o dimenticate dall’uomo, silenziosamente necessarie tra loro. La riscoperta dei legami che intercorrono tra questi elementi, la rivelazione degli ingranaggi che legano gli uni agli altri porterebbero, alla fine, ad una percezione e comprensione dell’intero universo come un unico organismo/meccanismo vivente/semovente. Il golem. Anche l’uomo è un ingranaggio di questo universo e, come
tale, partecipa della metafora del congegno: Ma egli è a sua volta innegabilmente creatore di congegni, trasformatore
della natura e questa facoltà gli permette di stabilire un termine
di paragone ambizioso ma irriverente tra se stesso e Dio. Dio viene chiamato
“meccanico”, “ingegnere”, “costruttore”,
“artefice” nei confronti della gigantesca macchina del mondo
che è la Natura e l’uomo sa di ricoprire i medesimi ruoli
nei confronti dell’Arte. Ma vi è una proporzionale differenza
tra i due: Cioè: nel momento in cui siamo noi a stabilire o creare il motivo
per cui due entità entrino in rapporto tra di loro (l’atto
del costruire), ci poniamo come gli dèi creatori di questo mondo
“artificiale” e naturalmente ne conosciamo le verità
e le cause, già che siamo stati noi a progettarle e stabilirle.
La questione non vale invece nei confronti dell’universo, del quale
facciamo parte, in quanto le verità e le cause ontologiche le può
conoscere, in modo analogo, solo il suo costruttore, cioè Dio. Dio creò attraverso i numeri un universo omogeneo e con le 22
lettere e le loro combinazioni scolpì le cose in esso contenute,
compreso quel “grumo grezzo e informe” (golem) nel quale poi
soffiò la vita. Dio trasmise poi il segreto delle 22 lettere ad
Adamo, mettendolo quindi nella condizione di creare grazie alla sua intelligenza.
Da un punto di vista strettamente poetico, l’analogia tra l’uomo e Dio, già affrontata in precedenza, trova qui una giustificazione molto forte: entrambi creano mondi attraverso la parola, la materia prima divina e le lettere sono i magici interruttori che accendono la ragione interna di ogni movimento, materiale e spirituale.
La fama delle macchine tornò in auge, nel bene e nel male a partire
dalla rivoluzione industriale: se da un lato avevano il merito di aver
contribuito alla crescita economica delle nazioni civilizzate, dall’altra
erano tacciate come le principali responsabili della miseria, della disoccupazione,
del disagio sociale e dell’alienazione umana. G. Metken osserva
che Dal punto di vista fisico, dunque, non è il corpo dell’uomo
ad assomigliare alla macchina bensì è la macchina a trasformarsi
un essere mostruoso antropomorfo ed allucinante: essa sembra crescere
in maniera tentacolare fino ad occupare l’intero edificio industriale
che la ospita, scalzando progressivamente gli esseri umani che le lavorano
accanto, trasuda vapore, sbuffa, geme, fagocita combustibile e uomini,
sputa fuoco e scorie, adempie implacabile ed inesorabile il compito che
le è stato assegnato dal costruttore. e nel Manifesto tecnico della letteratura futurista afferma: L’automobile e l’aeroplano sono i nuovi mezzi che permettono
all’essere umano di superare i suoi limiti: l’uomo, infilandosi
all’interno di una carrozzeria o di una carlinga, diventa parte
di loro e nello stesso tempo le trasforma in protesi meccaniche che gli
permettono di dominare la terra, l’aria e l’acqua in modo
inedito, di ridimensionare i concetti di distanza, altezza e velocità,
di assumere nuovi e spettacolari punti di vista. per questo motivo Marinetti reputa perché l’automobile è un prodotto della nostra civiltà,
sintonizzato con la nostra mentalità, che possiede delle qualità
affini alle nostre attuali esigenze e quindi, in un certo senso, risulta
più “emozionante” o sorprendente di una scultura greca
antica. Marinetti conclude il Manifesto tecnico con parole “profetiche”:
L’analogia tra l’uomo e la macchina che riscosse così
grande popolarità nel barocco continua a sussistere, quindi, ma
assume anche nuovi connotati: l’immagine del congegno si relaziona
con l’uomo come termine di paragone psicologico. Freud descrive
la psiche come un apparato, i cui ingranaggi sono rappresentati dall’Es,
Io e Super-io; ciò che chiamiamo volontà non è nient’altro
che il “movimento” indotto dal meccanismo di desiderio, prescrizione,
rimozione e ripiego al quale il nostro essere obbedisce in maniera automatica.
M. Carrouges inserisce il grande vetro nella lista di quelle che lui
definisce macchine celibi, ovvero macchine inverosimili, dai meccanismi
impossibili, inutili ed incomprensibili: Questi prodotti artistici e letterari sono generalmente caratterizzati
da una struttura a due piani che alluderebbe al meccanismo psicologico
umano “mutilato” di una delle sue parti. H. Szeemann osserva
che Ciò che muove questi deliranti ingranaggi è un’energia
erotica sterile che incarna il principio ontologico che sta dietro agli
“esseri meccanici”; che siano golem o automi, essi non solo
sono prodotti di un concepimento non naturale (non derivano dall’unione
tipo sperma-uovo o ape-fiore), ma non subiscono nemmeno un’evoluzione,
non prevedono né una crescita (le macchine e i loro prodotti sono
definitivamente conclusi una volta fabbricati) né una morte “naturale”
(l’usura non proviene da cause interne ma esterne, ovvero sono potenzialmente
immortali: l’unico controllo che possiamo avere su di essi è
l’interruttore che determina il loro stato di “acceso”
o “spento”). Le macchine celibi possiedono un’ulteriore
qualità sterile, ossia di non servire a nulla di socialmente utile. Gli oggetti cominciano ad invadere i campi prettamente umani, si insinuano in essi e addirittura si innestano al suo corpo trasformandosi in propaggini o protesi semi-bioniche. Oppure acquistano autonomia, si muovono grazie ad una sorta di volontà interna che li spinge ad entrare in contatto con l’uomo o ad aggregarsi con altri oggetti a formare figure antropomorfe, dinoccolate, a volte parlanti.
Dal punto di vista strettamente iconografico alcune immagini doppie o
paranoiche composte da Dalí, ma anche alcune delle figure umane
che appaiono sulle sue tele sembrano nascere da un amalgama di oggetti,
corpi umani e figure astratte fusi tra loro: si ergono spettrali, illuminati
ora da una luce fredda ed elettrica, ora da una più naturale ma
crepuscolare, e il loro contorno si staglia su distese piatte, bidimensionali,
prive di una qualsiasi figura serena e rassicurante. B. Brock collega il mito di Pallade Atena con il tema delle macchine
celibi, della creazione artificiale. La prima moglie di Zeus fu l’oceanide
Meti (cioè “saggezza”), e quando questa fu gravida
Gea vaticinò che se Meti avesse dato alla luce una figlia, questa
sarebbe stata saggia quanto Zeus e se invece avesse dato alla luce un
figlio, questo sarebbe stato più potente di lui e l’avrebbe
sconfitto. Zeus inghiottì l’oceanide gravida con un inganno
(un “difetto di famiglia”: il padre di Zeus era Crono, il
titano che mangiava i suoi figli per evitare di venire ucciso da loro),
ne assunse la saggezza e nel frattempo il figlio crebbe nel suo ventre.
Al dio vennero degli insopportabili dolori di testa, per cui Efesto, munito
di un’ascia, aprì una fessura nel cranio di Zeus e ne uscì
Pallade Atena in completa armatura. Il cervello dell’uomo, che appare nel disegno con uno sguardo fisso,
da trance ipnotica, è quindi collegato direttamente ad un congegno
che sembra avere il compito di captare e trascrivere su carta le immagini
che attraversano i suoi pensieri, bay-passando quella fase di trascrizione
automatica surrealista che richiedeva la mano umana. Ma chi ci assicura
che il meccanismo lavori in maniera inversa? In fondo Dalí la chiama
macchina pensante, cioè che pensa, facendo sorgere il dubbio che
forse è lei a trasmettere pensieri al cervello umano.
A. Sánchez Vidal ha raccolto in un volume un corpus eterogeneo
di scritti di Luis Buñuel (1900-1983) degli anni Venti: si tratta
di poesie, recensioni, articoli, interviste, racconti, progetti cinematografici
e testi teatrali. Focalizzerò la mia attenzione solo su un paio
di essi in quanto presentano le tematiche che ho appena trattato. Buñuel ritiene che gli oggetti provino delle emozioni e le comunichino
attraverso dei movimenti che noi riteniamo del tutto casuali o meglio
indotti da ragioni del tutto indipendenti da loro. Racconta ad esempio
di come amasse tenere tra le mani un panno di camoscio che aveva acquistato e questo a sua volta gli manifestasse il suo affetto attraverso il suo
tepore e la sua consistenza morbida e languida: Narra anche del “suicidio del pigiama”, gettatosi dall’attaccapanni
dopo aver “appreso” dell’incendio che aveva devastato
il grande magazzino da cui proveniva e che aveva fatto strage dei sui
“fratelli”. Si tratta di una sostituzione già auspicata da Marinetti, nel
Manifesto tecnico della letteratura futurista, il quale chiedeva di Buñuel non esclude che questa opzione possa condurre ad un fallimento,
ma ironicamente sostiene che Allucinazioni intorno a una mano morta è la sinossi di una sequenza
cinematografica scritta nel 1944 che non venne realizzata ma l’idea
venne in parte “plagiata” nel 1947, nel film di R. Florey
The Beast with Five Fingers. È notte, quando un uomo seduto alla
sua scrivania sente dei rumori sospetti e si accorge che alcuni oggetti
della stanza appaiono mossi da una inquietante presenza. Improvvisamente
dal fazzoletto appoggiato sul tavolo emerge poco a poco un una mano sinistra
che prende a scivolare in maniera sovrannaturale (cioè non cammina
sulle sue stesse dita) verso il protagonista. Questi prima cerca di annientarla
schiacciandola con una pesante statua di bronzo, poi la lancia dalla finestra
ben due volte: la prima volta, la mano viene respinta dal vento e si schianta
sul volto dell’uomo, la seconda volta riaffiora inspiegabilmente
dalla sua camicia semi aperta. L’afferra allora con decisione, prende
un pugnale, poggia l’arto mutilato sul tavolo e sferza il colpo
ma…trafigge la mano sinistra sbagliata, la sua, quella viva. L’arto
mutilato semovente riprende a scivolare ma l’uomo estrae il pugnale
e lo inchioda finalmente sul tavolo. Non si sa cosa quali siano le intenzioni della mano (l’ostinazione
con cui insegue il protagonista fa naturalmente pensare al peggio), ma
poco importa perché l’arto, manifestando un’attività
indipendente ha già dimostrato la sua totale libertà dalla
volontà del suo proprietario, la ribellione, cioè è
già avvenuta. A. Sánchez Vidal cita un passo de Il perturbante
di Freud: È un timore atavico, legato ancora una volta al mito umano, che
sembra essersi stampato indelebilmente nel nostro patrimonio genetico:
temiamo che le nostre creature prendano coscienza, si ribellino contro
di noi e possano sopraffarci nella gestione di questa Terra, così
come fece l’uomo, a suo tempo, nei confronti di Dio. È inoltre
un’idea che viene confermata dalle storie mitiche e leggendarie
provenienti da tutto il mondo e che, a quanto pare, si rinnova ad ogni
generazione, nello scontro tra padri e figli (le loro creature). L’unica
salvezza per il creatore sembra essere l’annientamento della creatura
ribelle: si tratti di inchiodarla al tavolo (la mano in Buñuel),
di ridurla in polvere (Dio condanna Adamo con il celebre polvere tu sei
e in polvere tu tornerai, ma è la stessa sorte del golem di Rabbi
Loew), di inghiottirla (come Urano, Crono e Zeus), di spegnerne l’interruttore
(L’Alef cancellata sulla fronte del golem) È curioso infine notare che Buñuel definisce l’arto
amputato “mano morta”, mentre quella attaccata al braccio
del protagonista “mano viva”: Ma alla fin fine, quale delle due mani è più viva, quella
che si muove autonomamente o quella che risponde alla volontà dell’uomo?
Il fatto che il protagonista finisce per auto-trafiggersi pare farci propendere
per la prima ipotesi. L’inizio del crollo della coscienza individuale si situa già
nelle prime righe del racconto, (simboleggiato dal suicidio di un poliziotto:
Leandro prima tenta di soccorrerlo ma poi gli ruba la pistola con cui
si è ucciso) per cui il protagonista a questo punto del racconto
ha già abbandonato in parte il controllo. La voce metallica può
essere un espediente cinematografico ma in essa si può riconoscere
ancora una volta il concetto dell’interiorità umana che si
muove come un congegno, la meccanizzazione della psiche, l’emersione
della parte inanimata e la sua progressiva presa di controllo. L’immagine
inoltre ricorda vagamente la Macchina pensante di Dalí, con i suoi
fili che escono dal cervello e lo sguardo sbarrato e ipnotizzato dell’utente
del congegno. I congegni interni strumentalizzano l’essere umano che li contiene
ed entrano in relazione con l’esterno, anzi, entrano in comunicazione
con i congegni delle persone circostanti. In questa scena il dominio delle
macchine sull’uomo è totale. Avedaño ne è completamente
annientato, il suo corpo è diventato una membrana attraverso cui
si propagano si suoni e gli impulsi elettrici; Illeggibile, abbandonandosi
a ciò che può identificarsi con l’espediente della
scrittura automatica, si è trasformato in puro apparecchio ricevente
e registratore di un messaggio profetico e mistico (lo invita ad affrettarsi
per non giungere tardi alla creazione del mondo). La sua “coscienza”
non è in grado di comprenderlo, ma evidentemente il suo inconscio
(il meccanismo che contiene dentro di sé) sì, già
che alla fine del racconto giungerà sorprendentemente a destinazione. Più tardi Carrillo Sinistro (il nome dello strano essere) convincerà
il protagonista a spiegare l’origine del suo nome: Illeggibile è
un soprannome che gli misero i suoi compagni quando seppero che era un
trovatello, Figlio di Canna un semplice insulto. Carrillo lo consola: Carrillo è l’assemblato di corpo e macchina per eccellenza,
una serie di oggetti/pezzi di corpo indipendenti che si animano e unendosi
formano un essere mostruoso ma pensante. Carrillo, infine, sembra essere un anello in più della catena creatori-creature che mostra anch’essa una sua logica consequenziale, quasi combinatoria: Dio, essere perfetto, inanimato ed eterno, crea l’Uomo, essere perfetto, animato ma mortale; l’Uomo a sua volta produce creature artificiali, tra le quali le macchine, cioè oggetti perfetti, inanimati ma eterni; queste, a loro volta, producono creature ultra-artificiali, cioè esseri imperfetti, ma animati ed eterni! Ancora quante combinazioni si dovranno succedere perché l’ultimo anello si ricongiunga col primo? Note.
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